Martin
Heidegger : Leggere Nietzsche mettendolo in relazione con
Aristotele, cioè guardando a lui come un pensatore metafisico
(tratta quella questione dell'essere).
Le
prime interpretazioni lo videro però soprattutto autore di tipo
“letterario” o attinente al criticismo culturale. Difatti Dilthey
lo colloca accanto a Tolstoj, Ruskin ecc, cioè accanto al filone dei
filosofi-scrittori che si muovono in un orizzonte aperto da
Shopenhauer. In questi, al posto della dimostrazione chiara e
lineare, subentra la persuasione, un gioco retorico artistico, la
loro spiegazione della vita non è “metodica”, bensì espressiva
e suggestiva.
Quindi
Heidegger vede l'aspetto prettamente filosofico di Nietsche, mentre
Dilthey insinua lo stretto legame tra il
pensiero della fine della metafisica con la poesia e la letteratura
(un dialogo tra pensare e poetare).
In
Nice la filosofia perviene a esiti prettamente ontologici
(circa l'essere) attraverso un itinerario che passa dalla
critica culturale, la filologia, la riflessione di tipo moralistico,
l'analisi dei pregiudizi, l'autosservazione psicologica. Si vedra
quindi in lui un legame stretto con quella che è “ontologia
ermeneutica”, ovvero critica della cultura/filosofia di vita e
problematica riguardo all'essere e alla verità.
Prima
fase: troviamo il rapporto tra filosofia e filologia.
In questo primo periodo (venerazione per Shopenhauer e Wagner), pur
non essendosi formato un vero pensiero filosofico, troviamo il tema
centrale del dualismo apollineo-dionisiaco. Nice vede comunque il
proprio lavoro di filologo in un senso che non è quello della
filologia accademica, e che lo avvicina invece alla filosofia (ha
l'idea anche di dedicarsi alle scienze e alla teologia). Per lui
nella filologia accademica lo studio è diventato di tipo puramente
antiquario, che comporta un distacco intollerabile tra studioso ed
oggetto del proprio studio. La filologia non è inoltre capace di
guardare all'antico come un modello da imitare (continuità), bensì
come un repertorio di oggetti di studio. Non si riesce quindi a
penetrare il vero mondo classico, a farlo rivivere, a farlo passare
ai nuovi tempi.
Per
Nice così con i metodi accademici della filosofia è impossibile
ricostruire la classicità, nel senso di farla rivivere.
La
nascita della tragedia
si presenta come un'incredibile mescolanza di filologia e
filosofia. Questo lavoro è sia un recupero e una
reinterpretazione della Grecità, sia una critica alla cultura del
mondo contemporaneo e un programma di rinnovamento di questo.
L'immagine
della Grecità che è vissuta nella tradizione europea è dominata
dall'idea di armonia, bellezza, equilibrio e misura. Nice
dimostra come gli opposti a tali topoi classici risultino latrettanto
classici.
Gli
dèi olimpici sono i mezzi apollinei con cui essi sopportano
l'esistenza, creati per nascondere l'esperienza del caos e del
divenire. Lo spirito dionisiaco è quello che porta l'essere a
sottrarsi al principium individuationis
Per
Arthur
Schopenhauer il concetto di principium
individuationis è
strettamente connesso a quello di principio di ragione. Per
Schopenhauer la Volontà di vivere ("Wille zum leben") che
finisce per auto-limitarsi nella concatenazione di spazio, tempo e
causalità, è da principio infinita e libera. Fattasi oggetto, la
Volontà perde la propria infinità ed è a quel punto che sorgono
gli individui, apparentemente differenziati e irrimediabilmente
separati l'uno dall'altro. Il principium individuationis è per
Schopenhauer "la forma del fenomeno", cioè come esso
appare in esteriorità. Il principium indiviuationis può allora
essere definito come l'illusione del numero e della differenziazione,
aspetto del Velo
di Maya. E questa differenziazione, pur se solo illusoria, porta
i fenomeni a scontrarsi l'uno con l'altro, poiché non comprendono di
essere, in fondo, la medesima volontà oggettivata.
Quando
Nietzsche,
nella Nascita
della tragedia del
1872 scrive che lo
spirito
dionisiaco annulla il principio di individuazione, annulla cioè
le categorie civili, statali, morali, intende allora riferire come
nell'ebbrezza del Satiro, che è la verità, l'uomo colga l'orrore,
l'atrocità, della propria esistenza. Il principio di individuazione,
riflesso dell'istinto apollineo, tuttavia è necessario - al fine che
l'uomo non si autodistrugga nel proprio lacerante grido (Iakchos) di
dolore. Ma, perché è l'ebbrezza ad esser considerata come verità,
e non invece la ragione, il principio di individuazione? Nietzsche è
chiaro: "la musica precede l'idea", così Dioniso precede
Apollo. Qui, compaiono già le linee che portano a comprendere il
complesso discorso nietzschiano: la musica, infatti, precede l'idea a
causa della propria immediatezza.
Ciò ch'è immediato è senz'altro vero, perché è conosciuto senza
i filtri della ragione
Rapporto
tra Apollio e Dionisiaco. Nell'arte prima si ha una percezione pura,
ovvero dionisiaca, che poi essa prende forma tramite le forme d'arte
e quindi i canoni e i metodi razionali. Tale razionalità rende così
la possibilità al sentimento di esprimersi tramite una forma
visibile.
Nice
legge le varie fasi dell'arte greca secondo la lotta tra Apollineo e
Dionisiaco. In più si ha una classificazione delle arti: la
Musica è più Dionisiaca, la scultura e la pittura più Apollinee.
La Tragedia Attica si presenta come perfetta sintesi.
Particolarmente
innovativa nell'opera è l'interpretazione della dualità tra attore
tragico e coro dei suoi Satiri (coro che rappresenta la rinuncia
dell'individuo che si immerge nel collettivo);
Nietzsche
accetta la tradizionale attribuzione della nascita della tragedia al
coro tragico, dei satiri seguaci di Dioniso. Attraverso il simbolismo
della parola, della danza e soprattutto della musica (a cui è
attribuito il medesimo valore teoretico che Schopenhauer le
attribuisce) il coro dei satiri evoca la visione del dio Dioniso,
eccitando gli animi del pubblico che è così portato a trasferire la
visione del Dio nell'attore mascherato. In questo modo il dionisiaco
(la musica) si "scarica" attraverso immagini apollinee
(l'eroe tragico). La vicenda rappresentata rischierebbe quantomeno di
creare sgomento nel pubblico che vede alla fine l'annientamento
dell'individuo, se solo l'illusione apollinea non si presentasse come
tale e grazie all'insegnamento immediato e intuitivo della musica non
comprendessimo l'intima sudditanza dello spirito apollineo nei
confronti di quello dionisiaco. È a questo punto che giunge attesa e
necessaria quella che Nietzsche definisce la "consolazione
metafisica", la catarsi. Attraverso la musica e il coro dei
satiri diventiamo consapevoli dell'unità, indistruttibilità,
potenza e gioia della vita nella sua essenza al di là di ogni
trasformazione, dell'incessante divenire delle cose, e del perire e
consumarsi dell'eroe tragico e della vita individuale: al di là del
principium individuationis.
<<con occhio acuto lo spettatore vede il terribile spirito di annientamento della storia universale e la crudeltà della natura ed è messo sul punto di desiderare un annientamento buddista della volontà. Lo salva l'arte, e per mezzo dell'arte la vita salva lui. L'arte viene per salvare e guarire, essa ha il potere di trasformare il ribrezzo in rappresentazioni volta alla vita secondo un addomesticamento artistico del terribile>>.
Se l'equilibrio tra Apollineo e Dionisiaco diede origine alla tragedia attica e la portò al suo massimo nella tragedia sofoclea, il progressivo perdere terreno del dionisiaco e l'emergere di una nuova forza – il “socratico” – la condusse alla decadenza. Una forza che, con il suo impeto razionalistico, si sostituiva al dionisiaco nel ruolo di “giustificare il mondo” all'uomo greco. L'ottimismo socratico della possibilità della conoscenza e della possibilità di arrivare a comprendere l'interezza dell'universo con la ragione si sostituì all'accettazione dell'incomprensibilità e dell'irrazionalità dell'esistenza umana che erano rappresentate dal Dionisiaco.
Nell'introdurre
la figura di Socrate nel discorso e collegandola a quella di Euripide
– simbolo della tragedia decadente – il parallelo tra società
greca e tragedia attica viene esplicitato, andando a dimostrare come
lo spirito razionalistico socratico – e con esso la nascita
dell'uomo teoretico – abbia minato l'equilibrio tra forze
Apollinee e Dionisiache nella società greca – una degenerazione
che si è espressa anche nella trasformazione della tragedia
dionisiaca nella tragedia euripidea.
Su
verità e menzogna - 1873
:
ogni linguaggio è in origine una metafora, ovvero indicazione
di cose mediante suoni che non hanno a che fare nulla con le cose
stesse. La società sorge quando un sistema metaforico si impone
sopra gli altri (il modo socialmente accettato di indicare el cose,
ovvero di mentire).
1)
David Strauss: il saggio del 1873 in oggetto (David
Strauss: der Bekenner und der Schriftsteller) attacca lo scritto
di David
Strauss La vecchia e la nuova fede: una confessione (1871)
che Nietzsche adduce ad esempio del pensiero tedesco dell'epoca.
Raffigura la "nuova fede" di Strauss — meccanismo
universale scientificamente determinato basato sul progresso della
storia — come una lettura volgare della storia al servizio di una
cultura degenerata, attaccando polemicamente non solo il libro, ma
anche Strauss come un "filisteo"] di
pseudo-cultura.
Nice
critica il concetto di storicismo positivo (anche di
stampo Hegeliano)
Pone
l'importanza dell'aspetto critico della filosofia e della cultura.
2)
Sull'utilità ed il
danno della storia:
In questo saggio, Nietzsche attacca sia lo storicismo dell'uomo
(l'idea che l'uomo sia creato attraverso la storia - la natura
storica e progressiva della manifestazione della verità, frutto di
una lenta maturazione che procede secondo una precisa logica di
sviluppo)
3)
Shopenhauer come educatore: lo
elogia come pensatore
4)
Richard Wagner: critica il musicista. Porterà alla rottura
tra i due.
Quali
sono alcuni contenuti interessanti delle Considerazioni Inattuali?
Quando
la consapevolezza della storia (che tutto passa e decade) domina un
individuo le forze creative vengono meno. Nice chiama questa
“malattia storica”.
L'importanza
della storia è riconosciuta solo in relazione a tre principi:
essa occorre in quanto l'uomo è attivo e ha aspirazioni, in quando
preserva e venera, in quanto soffre e ha bisogno di aspirazioni.
L'unico modo per guarire dalla “malattia storica” è il
ricorso alle potenze sovrastoriche, quali
religione, arte e filosofia.
La
zivilization di Nice è intesa come attitudine alla critica
sociale e al decostruzionismo rivolto sempre all'innovazione ed al
rinnovamento. Una visione che non rinneghi ne il passato ma
neache il futuro. L'importanza della filosofia sta così nella sua
natura “non storica”. Essa non si basa solo su nozioni
particolari, bensì mira ad una teoria del tutto, una saggezza che
guarda tutta l'esistenza.
Il
pensiero elaborato da Nice in realtà è impregnato del rapporto
tra “critica della civiltà” e filosofia.
Periodo
successivo: Nice vede l'impossibilità di restaurare una verità
tragica tramite l'arte. In Umano
troppo umano - pubblicato
in due parti tra il 1878 e il 1879 - tale
impossibilità sarà riconosciuta in una inattualità
storico-psicologica dell'arte per l'uomo moderno, per il quale
l'espressione dello spirito dionisiaco trova maggiore espressione
nella scienza.
Umano,
troppo umano sancisce il passaggio alla nuova fase di pensiero di
Nice e la definitiva rottura con Wagner. In questo lavoro oramai
l'arte ha il difetto di rappresentare una fase “superata”
dell'educazione dell'umanità, pensata come un processo di
illuminazione in cui il ruolo dominante appartiene oramai alla
scienza. Il potenziale dell'arte risulta soltanto quello di far
ridiventare bambina l'umanità; questa è la sua gloria ed il suo
limite. L'arte risulta importante solo se
posta nei confronti dei mutamenti sociali. Ma
oramai l'arte ha perso la sua potenza influenzante. Oramai il
cambiamento è dato dalla scienza. L'arte oramai sa di passato, di
antico.
L'arte
per agire sugli animi odierni ha bisogno di un mondo che non è più
il nostro, se vuole mantenersi deve ricreare artificialmente oggi
le condizioni che la rendevano attuale in altre epoche. Tali
condizioni sono caratterizzate da violenza delle emozioni, irruenza e
irragionevolezza inflantile.
Nice
non attribuisce alla scienza l'abilità di fornirci la pura realtà
delle cose, una conoscenza oggettiva. Ciò che noi ora chiamiamo il
mondo è il risultato di una quantità di errori e di fantasie che
sono sorti a poco a poco. La scienza è vista come positiva
solo per gli atteggiamenti spirituali che essa
comporta. La scienza oramai è colei che
depura la società dai vecchi pregiudizi (cielo, inferno, salvezza
eterna), essa sposta l'attenzione, e non è più una conoscenza in
cerca di salvezza. Accetta il mutamento. Vede nella scienza
un'attitudine più libera di pensare, che chiamerà anche “spirito
libero”.
La
scienza – come faceva in forma più primitiva l'arte – non può
liberarci dal mondo della rappresentazione, ma può solo <<sollevarci
per qualche momento al di sopra del processo>> facendoci
scopripre che la cosa in sé è forse <<degna di un'omerica
risata>>. La scienza risulta così un ulteriore sviluppo
dell'uomo artistico.
Dobbiamo
scoprire l'eroe e anche il giullare che si cela nella nostra passione
della conoscenza. L'arte diventa la forza capace di rendere
sopportabile l'esistenza. La scienza in modo analogo ci innalza a
questa ebrezza vitale che ci distoglie dalla mera realtà. Ma se
quest'ultima ci aiuta nella conoscenza metodica che dunque è anche
consapevolezza di errore, l'arte ci aiuta come giullare e eroe,
aiutando la scienza a sopportare la consapevolezza dell'errore
necessario. <<con illusioni e passioni bisogna riscaldare,
con l'aiuto della scienza bisogna invece prevenire le cattive e
pericolose conseguenze di un surriscaldamento>>. L'una
come fonte di forza, l'altra come regolatore.
Sempre
in Umano, troppo umano Nice critica quei valori presi come
trascendenti (ed opposti), i quali invece hanno la loro origine nella
vita stessa, tanto che spesso l'uno è prodotto dal suo opposto.
Quello che chiamiamo valore altro non è che la sublimazione di
fattori umani. I valori – bene, male –
sono da ricondursi ad una menzogna, menzogna che però può essere
professata anche in buona fede. Tali errori sono anche quelli che
però hanno dato ricchezza e profondità al mondo e all'esistenza
umana.
[[[non
esistono azioni morali [[[le azioni morali sono in realtà
qualcos'altro – di più non possiamo dire! - 49
[[[,l'azione non si può valutare moralmente perchè non si può
conoscere. Da ciò segue la negazione della volontà di
volere. Tale volontà non si può
dimostrare [[[non conoscendo la propria azione
completamente, colui che agisce non è nemmeno libero pienamente
nella sua azione [[[ nelle azioni di un uomo giacciono
fattori e cause che sfuggono al suo controllo e al suo sapere.
L'azione
è mediata dalla volontà dell'uomo di conservarsi e di avere
piacere. Anche questi “moventi” dell'azione mantengono però
quella parte indeterminante ed inconoscibile. C'è un piccolo
problema di coerenza nella visione di Nice –
ma non bisogna esagerarne la portata.
Dalla
volontà di conservazione e di ricerca di piacere deriva l'esigenza
di una scienza che ricostruisca i mutamenti storici della morale in
relazione a tali principi, Come si può arrivare ad uccidersi ? E a
morire per salvare un altro? <<La madre da al figlio ciò
che toglie a se stessa. L'uomo ama qualcosa di sé, un pensiero,
un'aspirazione, una creatura, più di qualche altra cosa di sé, che
egli cioè scinde il suo essere e ne sacrifica una parte all'altra?>>
potremmo vederci una tendenza
sado-masochista della morale. Le
norme morali si sono sviluppate per un'antica utilità che poi è
andata perduta trasformandosi in un idolo fantoccio.
La
religione ricerca una stabilità superiore all'uomo, alla
quale l'uomo possa sottomettersi e farsi trasportare con occhio
sicuro. Ma è la stessa religione – soprattutto quella che riporta
il “peccato” - che ha condotto a lotte mostrose all'interno degli
individui. Spesso così gli uomini fanno poco in nome del loro
vero “ego”, al contrario si sottomettano al fantasma dell'ego che
si è insinuato in loro tramite tutte le stratificazioni
culturali-morali assorbite dal contesto sociale.
L'analisi
“chimica” che fa Nice della cultura, della religione, della
metafisica non conduce a elementi primi, anzi, tali elementi si
rivelano sempre già composti; ma il risultato del metodo è la
comprensione dei processi di composizione, le trasformazioni che
compongono la vita spirituale dell'umanità. Un ulteriore processo –
che Nice vede come futuro – è l'autosoppressione della morale
per moralità. Questa coincide con la “Morte
di Dio” nella Gaia Scienza e in Zaratustra. Bisogna però
sottolineare come Dio non venga negato (l'errore, la menzogna, come
ogni cosa.. ha un'utilità storica..una veridicità storica).
L'appropriazione
e la coscienza della storia passata , che è sempre storia di
“errori”. La liberazione non consiste in una
confutazione di questi errori passati. Non equivale certo a una
giustificazione degli errori passati, ma nemmeno a una confutazione.
L'abbandono delle superstizioni e degli errori è solo
una prima tappa.
La
morte di Dio non è un'annunciazione metafisica della non esistenza
di Dio. E' un “evento” che pone nuovi accadimenti e
nuove metamorfosi; è difatti nominabile la filosofia di Nice
come uno sperimentalismo filosofico (che
cosa accadra?).
Zarathustra
è un poema in prosa con modello il Nuovo Testamento. L'idea di
eterno ritorno e la forma profetica sono legate al modo in cui tale
idea si è formata nella testa di Nice: l'idea di una nuova
dottrina dell'oltreuomo che porti ad una trasformazione radicale
dell'umanità. Si crea in Nice l'ossessione di una
efficacia storica del suo pensiero. Il filosofo diventa un
inventore di nuovi valori che intendono fondare nuova storia: <<non
basta fondare una dottrina, bisogna trasformare anche profondamente
gli uomini in modo che questi la ricevano>>.
L'esigenza
di un'efficacia storica ci ha fatto ipotizzare addirittura che molti
degli slogan di Nice non siano altro che fantocci da propaganda,
vesti semplicistiche da propaganda. La volontà di potenza
potrebbe essere così per Nice nient'altro che una “formula
magica”, una espresione essoterica, divulgativa, popolare del suo
pensiero, alla quale corrisponderebbe proprio il contrario esoterico,
ovvero la consapevolezza che <<non c'è affatto una volontà>>.
Basti il frammento: <<Essoterico-esoterico. 1. Tutto è
volontà contro volontà. 2. Non c'è affatto una volontà. 1.
Causalismo. 2. Non c'è qualcosa come causa-effetto>>.
Uno dei tratti dominanti delle opere dell'ultimo periodo è quindi
l'interesse storico-politico.
Questo
periodo è basato su due concetti chiave: la “decisione”
(di formare l'oltreuomo) e la radicale critica e dissoluzione
del soggetto
(attraverso l'eterno ritorno). Risulta però difficile trovare
accordo tra questi due concetti fortemente contrastanti; come fondare
una nuova umanità attraverso le fondamenta della dottrina
dell'eterno ritorno?!!?. Forse il modo è un cambiamento nel vivere
il tempo.
Le
contraddizioni (tra volontà di potenza e di nuova umanità ed idea
di eterno ritorno legata al tempo ciclico) e tensioni del suo
pensiero si condensano nell'immagine del
<<meriggio>> - in contrasto
con la “filosofia del mattino” del periodo
precedente; questo altro non è che un momento di passaggio, la
quiete che precede il cambiamento, quella che prova anche Zatatutra
(starsene immobile, godere della bellezza meridiana, il senso di
riposo, malinconia e pienezza). Ma quest'ultimo vuole “cantare e
ballare”, difatti si dice <<alzati in piedi dormiglione!>>
Nell'eterno
ritorno solo un essere pienamente felice potrebbe godere di tale
concetto e di tale vincolo circolare. Vi è da dire però che solo
una concezione circolare può allo stesso tempo salvare
l'individuo dalla concezione edipica del tempo (ogni attimo
mangia l'altro). Ma se Nice era riuscito a minare la distinzione tra
verità ed apparenza ditruggendo i vincoli/errori morali e le loro
metafisiche – dando libertà all'individuo – perchè, alla
fine, pone lui stesso una “metafisica basata sull'eterno ritorno”?
C'è chi ha spiegato tale fatto vedendo una volonta di Nice – anche
grazie alla sua formazione filologica – di ricondurre il
pensiero/metafisica ad una visione pre-socratica e pre-cristinana
(dove domina la linearità del tempo e l'irripetibilità di ogni atto
-creazione, peccato, redenzione, apocalisse).
Anche
Nice considera l'idea di eterno ritorno come una possibilità o una
probabilità (o ancora meglio una delle tante possibilità
interpretative); ma il suo pensiero mira più che a definire a dare
una base di mutamento, qualcosa che possa trasformarci, darci nuove
possibilità determinanti che erano state escluse solo perchè
amorali o assurde. Tale teoria assume perlopiù un significato
etico. Nello stesso capitolo di Zatatustra “La visione e
l'enigma”
Nice mette le mani avanti circa la semplicistica idea di eterno
ritono. Tutte le cose diritte mentono, borbottò sprezzante il
nano. Ogni verità è ricurva, il tempo stesso un circolo. Tu spirito
di gravità! Dissi io incollerito, non prendere la cosa troppo alla
leggera!. Non è forse errato vedere quindi in tale “espressione”
una visiono essoterica di un'esigenza molto più profonda. Non a caso
il capitolo finisce con l'immagine di un “pastore trasformato”,
che sputa la testa di un serprente (come soffocato dal concettto di
eterno ritorno, come qualcuno che lottando si libera e rinnova... e
che soprattutto “ride, mai come un uomo come lui rise”, forse
anche scoprendo il gioco di Nice nel creare una metafisica essoterica
che abbia comunque un ruolo trasformatore e positivo). Sembra
oltretutto presentare con la storia una “decisione” del pastore
(come del saggio) che deve arrivare a “mordere la testa al
serpente”, forse a riuscire a proporre una metafisica mantenendo
l'intima indipendenza da essa, od almeno una forma di reazione ad
essa. D'altronde l'eterno ritorno pone le base di una mancanza
d'arbitrio, il soggetto svanisce e l'unica cosa che rimane è
l'escamotage artistico di svincolarsi da tale verità ontologica –
Nice in realtà gioca.
L'eterno
ritorno risulta comunque per Nice un pensiero decisivo per la
trasformazione dell'uomo. La “redenzione” dallo spirito di
vendetta che ha dominato l'uomo fino ad ora (mondo
platonico-cristiano) deve essere messa in atto ed essa può avvenire
solo con la distruzione del tempo lineare. L'uomo si infrange
difatti contro il macigno del “così fu”, contro cui la volontà
non può nulla. Da ciò scaturisce una vendetta morale, religiosa,
fisica ecc. La libertà sta <<io così voglio!>>. Tale
libetà non si deve trovare in una semplice accettazione di ciò che
stato, bensì deve riconoscere la bellezza creante di ciò che è
stato e consacrare il suo eterno ritorno. Ma esiste sempre il solito
problema filosofico: l'dea di eterno ritorno produce sul soggetto
una tale azione destrutturante, nichilista, che diventa letteralmente
impensabile , tanto da produrre una sorta di vertigine ed
impossibilità di azione e “decisione”.
Nice
attribuisce al nichilismo
un senso possibile duplice: un senso passivo, nel quale
il nichilismo riconosce un senso di insensatezza ed ingiustizia nel
divenire e di conseguenza sviluppa un senso di perdita, di
vendetta e di odio per la vita; e un nichilismo attivo,
quello dell'oltreuomo, il quale si installa nell'insensatezza del
mondo dato per creare nuovi valori.
Nice
in “Il nichilismo europeo” (appunto) afferma che l'umanita
che inizialmente era in un primo primitivo “nichilismo” ha creato
il cristianesimo uscendo dal caos naturale. Successivamente però la
veridicità del Cristianesimo è stata minata, è stato intuito
l'errore, e allora tutto è piombato in un “secondo nichilismo”.
Siamo giunti allora ad un mondo senza fine né scopo, un'esistenza
inevitabilmente ritornate, senza finale nel nulla: l'eterno
ritono. Questo si configura come la forma estrema del nichilismo: il
nulla eterno. E' possibile però un atteggiamento che dica
<<Si>> al processo? Si può dire che esiste una
consapevolezza del processo che ci liberi dalla morale. O almeno, che
ammetta che la morale è sempre stata impostata dalla “volontà di
potenza”.
Il
grande uomo non sarà però un dittatore di volontà, un guerriero
sanguinario impassibile. Il grande uomo al contrario è colui che
<<saprà pensare all'uomo con una notevole riduzione
del suo valore; gli uomini che sono consapevoli della loro potenza e
che rappresentano con consapevole orgoglio la forza raggiunta
dall'uomo>>.
La
vera essenza della volontà di potenza (pag 96) è
ermeneutica, interpretativa.
La lotta delle opposte volontà di potenza è anzitutto lotta di
interpretazioni. <<il mondo si riduce pertanto a un modo
specifico di agire su di esso, che muove da un centro, un io>>.
Al contempo questa stessa teoria di Nice diventa “interpretrazione”
e mera visione. Nice lo ammette in Al di là del bene e del male :
<< posto poi che anche questa fosse solo
un'interpretazione.. tanto meglio!>>.
Non
esistono “fatti” per Nice, fatti in sé, solo interpretazioni.
Tutto è soggettivo potranno dire i molti e banalizzare. Ma <<anche
questo “soggetto” non
è niente di dato, è solo qualcosa di immaginato”
(dice Nice), qualcosa di appiccicato dopo. L'interprete diventa
esso stesso interpretazione>>. Anche il soggetto è
dunque una posizione prospettica di una volontà di potenza.
Il
mondo e le interpretazioni iniziano quindi da “centri di forza”,
i quali a loro voltà <<sono configurazioni interpretative di
durata relativa>>.
I
criteri di scelta di una data prospettiva sono per Nice di tipo
“fisiologico”: forza-debolezza, attività-reattività,
salute-malattia. Nice parla infatti nei suoi ultimi scritti di
“prospettivismo”, ovvero quella dottrina che
afferma la pluralità delle prospettive (essa non dice però che un
individuo non debba scegliere esse...anzi!).
La
morale per Nice non è altro che l'istinto della decadenza, la morale
sono gli esauriti e i diseredati che in tal modo si vendicano.
La
forza e la salute sono quelle che danno la capacità di vivere
attivamente l'esperienza del nichilismo. <<Stimo la potenza
di una volontà che anche quando torturata, sofferente, ha la
capacità di trasformare tale tortura esistenziale in proprio
vantaggio>>.
Potremmo
parlare di nichilismo reazionistico (detto da me)..
Bisogna
affermare così per Nice che esiste solo un conoscere prospettico, e
quanti più aspetti lasciamo parlare sopra una determinata cosa,
tanto più completo sarà il nostro concetto di essa, la nostra
obiettività.
La forza e la saluta diventano
allora in questa ottica solo slanci positivisti rivolti alla
sperimentazione prospettica, ad una virtù che mira ad arricchire
la percezione-creazione. In tale viaggio di scoperta
l'individio deve però imbattersi anche con la più folle delle
ipotesi, quella che distrugge ogni concetto di soggetto, ovvero
l'idea dell'eterno divenire. Attraverso
questa esperienza il soggetto capisce come anche l'”io” è un
qualcosa raggiunto-aggiunto dall'immaginazione e quindi finctio,
rappresentazione. L'io stesso, quindi, e la coscienza diventano
così solo effetti di superficie, non principi ontologici, ma
stumenti rappresentati a misura di uomo (per la societas-per
la comunicazione ). Zaratuistra dice nei “Dispregiatori del
corpo” che <<il tuo corpo e la sua grande ragione:
essa non dice “io” ma fa “io”>>. Nice non vuole in
questo senso portare ad un riduzionismo rivolto all'assoluto
corporale, bensì vuole solo far presente l'importanza della
molteplicità sostanziale dell'io. Detronizza l'egemonia della
coscienza, triviata dall'ontologia e dalla religione (BLAKE). L'arte deve servire come
giustificazione estetica dell'esistenza.
Essa ci protegge dalla verità. La volontà di verità risulta un
sintomo di degenerazione. L'arte diventa il modello stesso della
volontà di potenza, una volontà di potenza come arte. L'arte è
creatrice di forme di menzogna con il cui aiuto si crede nella vita.
Le stesse metafisica, matematica, morale, religione sono figlie della
volontà d'arte. Ma esistono due attitudini di tale vlonontà: quella
passiva, che si esprime secondo uno “spirito di vendetta”
(un'arte decadente che verte ad un nichilismo passivo) e quella
attiva in cui la volontà di illusione ha la sua tranquilla coscienza
ed esistenza. Lo stesso Oltreuomo è da assimilare alla figura
dell'artista in cerca di una riconoscenza della felicità goduta.
L'arte rimane comunque una di quelle alternative sane e forti
relative allo spirito di decisione. Ma qual'è l'atteggiamento
dell'artista positivo? <<E' segno di benessere e potenza la
misura in cui uno può riconoscere alle cose il loro carattere
terribile e problematico; bisogna vedere per contro se uno abbia in
genere bisogno di soluzione finali>>. Nice individua così nel
poeta tragico il perfetto oltreuomo artistico. Il gusto del tragico è
possibile solo per chi non ha bisogno di soluzioni finali. Nice
comunque, nel caratterizzare il Superuomo enfatizza soprattutto gli
elementi tonificanti (anche fisici): l'abbellimento, la volontà
vittoriosa, la percezione logica, raffinamento dell'organo per la
percezione di molte cose, la fortezza del corpo, agilità e piacere
nel movimento, fisico e mentale, piacere nella leggerezza, nella
danza, l'ebrezza come senso di potenza ed esaltazione, esuberanza,
energia animale, sensualità.
L'arte si pone così dei
propositi opposti di quella platonica-aristotelica: non deve quietare
gli animi, non deve trovare soluzioni finali.
Alla
base sta il potenziamento della sensibilità come conseguenza
dell'eccitamento vitale (quasi una sensazione erotica scaturita non
dal rapporto uomo-donna, ma dal rapporto uomo-cose....<<senza
una certa sovraeccitazione del sistema sessuale un Raffaello non è
pensabile>>). L'importante nel gioco creativo è saper
riconoscere sia l'importanza della ricerca del vago, dell'ignoto e
della controparte riduttiva astraente relativa alle geometrie.
Entrambi i fattori sono essenziali, tant'è che il bello risulta
proprio la sintesi di indeterminato evocato e forme determinate. Non
biosgna pensare quindi che Nice vada in una direzione completamente
dissolutiva. Apollo deve <<parlare la lingua di Dionisio>>.
*** Nice sembra esprimere (riprendendo anche Kirkegard
che vede come la fede il mezzo per oscurare la disperazione)
una fede rivolta al culto del divenire, una accettazione sacra
rivolta all'esperienza, alla vita, alla creazione artistica.
Questo atto religioso (più che filosofico), potremmo dire mistico,
altro non fa dare fede ad un processo vitale contribuente alla
vonontà conservativa – e di potenza – quel processo che Nice
interpreta come “decisione”, spinta in avanti e movimento
percettivo.
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